Buone Prassi

La scolarizzazione delle comunità rom e sinti presenta ancora oggi In Italia alcuni nodi problematici specifici. Le condizioni di povertà ancora diffuse, l’emergenza abitativa che contraddistingue la vita di molte famiglie, gli stereotipi negativi che caratterizzano la percezione delle stesse comunità nell’opinione pubblica di fatto incentivano questa situazione che si evidenzia in: alto tasso di abbandono scolastico, irregolarità nella frequenza, scarsa partecipazione nel secondo ciclo di istruzione. A questa situazione si aggiungono le numerose certificazioni di alunni rom e sinti e il relativo uso improprio del sostegno come strategia didattica.

Il Progetto Storie nella storia, attraverso il coinvolgimento diretto delle comunità rom di Firenze e sinte di Prato, attraverso la raccolta di testimonianze, ha inteso mettere in luce le criticità di questo rapporto in momenti differenti della loro storia, evidenziare gli elementi possibili di miglioramento, indurre le istituzioni scolastiche e i decisori politici a comprendere meglio come contrastare le discriminazioni nei confronti di queste comunità in ambito scolastico e sociale e favorire il dialogo interculturale. Quelle seguenti rappresentano delle indicazioni, risultanti dalle attività progettuali, utili se non necessarie, alla costruzione di condizioni di pari opportunità scolastica, formativa e sociale.

Educazione ed istruzione - La questione dei dati

La raccolta dei dati relativi ai livelli d’istruzione raggiunti da Rom, Sinti e Caminanti rappresenta un elemento che è stato frequentemente influenzato dagli stereotipi presenti nella società maggioritaria italiana: tra gli anni Sessanta e i Duemila, la dicitura “alunno nomade” entro la quale era registrata la loro presenza nelle scuole italiane permetteva d’individuare essenzialmente la percentuale di abitanti dei soli “campi nomadi” (circa il 20% della popolazione RSC totale presente sul territorio nazionale) nei plessi scolastici, non potendo rendere conto di quella parte di comunità che permaneva in una condizione d’invisibilità sociale, poiché evitava di dichiarare la propria appartenenza. Il progetto europeo “The education of the Gypsy Childhood in Europe” (2003) dedicato alla condizione educativa dell’infanzia RSC nell’UE, condotta anche in Italia da un’unità di ricerca diretta dal prof. Leonardo Piasere, ha evidenziato come azioni d’inclusione scolastica che individuino le comunità RSC come specifico target group possano correre il rischio di promuovere e rinforzare uno sguardo etnicizzante, se strutturate sulla base di approcci standardizzati, non in grado di considerare e rispondere all’eterogeneità dei bisogni educativi che contraddistinguono le differenti comunità presenti sul territorio. Gli ultimi dati disaggregati disponibili sulla scolarizzazione di Rom, Sinti e Caminanti risalgono all’anno scolastico 2014/2015, successivamente la rilevazione su base nazionale è stata interrotta anche in riferimento alle indicazioni per la tutela della privacy ed alle difficoltà e rischi legati alle norme per le registrazioni su base etnica. L’odierna mancanza di dati disaggregati specifici rappresenta un elemento di difficoltà, in particolare nella valutazione delle azioni promosse per l’inclusione educativa nel presente, ma il rapporto su “La condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia” stilato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e pubblicato nell’anno 2012, già segnalava la medesima problematicità nel rapportarsi con dati non completi, non certi e con un margine di discrezionalità sulle rilevazioni abbastanza elevato; lo stesso documento si riferiva al rapporto intitolato “No data – no progress” redatto nel 2010 da Open Society Foundation e proponeva le valutazioni della Commissione europea (2000/43/EC): «La scarsità di dati etnici nella maggior parte degli Stati membri intralcia un appropriato monitoraggio dell’applicazione della legislazione comunitaria. Ci sono state obiezioni alla raccolta di questo tipo di dati basate sul fatto che questo avrebbe violato le disposizioni della direttiva europea sulla protezione dei dati. Questo non riflette la realtà. […]. Sono gli Stati membri a decidere se i dati etnici devono essere raccolti per produrre statistiche per contrastare la discriminazione, provvedendo al rispetto della direttiva sulla protezione dei dati personali». Il documento segnalava una via percorribile: «[…] In realtà molte informazioni sono già reperibili, soprattutto a livello locale. Le strutture degli enti locali, i dipartimenti che nei vari Comuni si occupano di Rom, i servizi sociali, le associazioni e le onlus che portano avanti progetti di cooperazione nei vari territori, conoscono spesso in modo approfondito e preciso la situazione di Rom e Sinti nei diversi contesti. In quali campi essi vivono, quali sono le condizioni igieniche e sanitarie, quali i problemi e le opportunità di lavoro, quale la frequenza scolastica dei minori. Si tratta di un patrimonio immenso di dati che per loro natura sono però frammentari, raccolti in modo spontaneo e con metodologie diverse, basati più sull’esperienza diretta che non su una corretta elaborazione statistica, riferiti a realtà molto specifiche e quindi non facilmente generalizzabili. È da questi dati che si potrebbe partire per costruire una conoscenza più precisa e diffusa: dalla raccolta, dall’elaborazione, dalla sistematizzazione di questa considerevole quantità di informazione proveniente “dal basso”. È necessario però che queste fonti di conoscenza vengano attivate attraverso un progetto nazionale che preveda un investimento volto a garantire l’uniformità dei metodi di ricerca e di raccolta dei dati e il loro trattamento; che alimenti survey quantitative e indagini qualitative mirate alla conoscenza dei diversi aspetti che riguardano la presenza dei Rom sul territorio. E che sappia superare il problema di come coinvolgere queste popolazioni nella costruzione di questi elementi di conoscenza. è un caso questo nel quale può tornare attuale ed efficace la metodologia sociologica della con-ricerca».  

Considerate le difficoltà appena descritte, le poche e ormai datate rilevazioni disponibili confermano comunque l’inadeguato livello d’istruzione come una delle principali cause della precaria condizione di vita delle comunità RSC, come già segnalato anche nella Strategia nazionale d’inclusione di Rom Sinti e Caminanti 2012-2020. Naturalmente, questo dato non deve essere letto come un fattore etnico di repulsione verso la scuola, ma come l’effetto di politiche storicamente attuate dalla società maggioritaria per tenere a distanza le comunità RSC: la scuola è strumento per l’istruzione pubblica rivolto a tutti, ma è anche l’istituzione attraverso la quale si attivano processi di costruzione della propria identità e di riconoscimento del proprio ruolo sociale;  la conflittualità a lungo attiva verso Rom, Sinti e Caminanti ha conservato nelle comunità l’immagine di una scuola intesa come “la scuola degli altri” (Liégeois, 1999). L’istituzione scolastica resta comunque e soprattutto il luogo del possibile incontro dei minori Rom, Sinti e Caminanti con i propri coetanei. È quindi essenziale considerare l’immagine di scuola che si è sedimentata nella memoria delle generazioni più anziane e la condizione di vita a scuola che caratterizza oggi le generazioni più giovani, in modo da individuare gli elementi fondamentali per costruire un’esperienza positiva, perché inclusiva e rispettosa dell’identità di tutte/i. Da questo punto di vista, conoscere e riconoscere  gli aspetti dolorosi della scolarizzazione vissuti da Rom e Sinti può permettere di decostruire una memoria al negativo della scuola e sostenere concretamente l’attuale processo d’istruzione a livello di comunità e non solo come percorso di successo di un singolo.

Le memorie di scuola e la scuola del presente

Le comunità RSC attualmente presenti in Italia sono caratterizzate da una forte eterogeneità: sono presenti sul territorio nazionale, Comunità di Sinti e Rom d’antico insediamento (a partire dal XIII secolo), ci sono stati arrivi di Rom dai territorio della Jugoslavia a partire dagli anni Settanta, ma soprattutto per fuggire dalle guerre dei Balcani degli anni Novanta, ci sono stati arrivi di Rom dall’est dell’Europa a partire dagli anni Novanta ed in particolare dopo i Duemila, con l’ingresso di alcuni Stati, come la Romania, nella UE. Le immagini della scuola che si sono conservate tra gli appartenenti alle differenti comunità si sono sedimentate nella loro memoria collettiva in modo differenziato, ma è necessario rilevare che la costruzione degli interventi a loro rivolti in ambito scolastico hanno sempre fatto riferimento ad una standardizzazione legata allo stereotipo dello “zingaro nomade” da rieducare e privo di cultura. Tale immagine è stata applicata a tutte le comunità in modo indistinto. I primi interventi a livello nazionale volti alla scolarizzazione di Sinti e Rom sono state le classi speciali per nomadi, cioè classi differenziali riservate a “zingari”, istituite negli anni Sessanta e chiuse di fatto negli anni Ottanta. Queste classi furono frequentate in particolare dai Sinti del nord e del centro Italia dediti a lavori itineranti e da alcuni Rom in alcune città del sud Italia. Il ricordo di tale esperienza è caratterizzato da una percezione di sofferenza infantile, di forte pregiudizio vissuto dai bambini Rom e Sinti e da uno scarso apprendimento in età scolare. Nel sud Italia, quelle comunità di Rom di antico insediamento che si erano già stabilite in casa (seppur dedite anche a lavori itineranti) che ebbero la fortuna di non frequentare le classi speciali per zingari (perché non erano state attivate nelle proprie zone di residenza), poterono frequentare le classi comuni e partecipare alla scolarizzazione prevista per tutti gli altri cittadini. Le memorie di scuola delle due comunità sono molto diverse: da un lato, Sinti e Rom che hanno vissuto le classi differenziali ricordano tale esperienza come una prevaricazione subita ed un attacco alla propria comunità, volto alla loro cancellazione dal punto di vista culturale; dall’altro, quei Rom del meridione che hanno potuto frequentare le classi in comune con gli altri alunni, hanno partecipato alla scuola di tutti e non hanno costruito memorie oppositive rispetto alla propria istruzione: le loro esperienze sono state caratterizzate da successi o insuccessi, ma non hanno dovuto percepire la conflittualità. Nell’esperienza dei Rom d’antico insediamento del sud Italia, ha avuto un ruolo determinante anche l’assenza per lungo tempo della politica dei campi nomadi sul proprio territorio: non si è attuata la stigmatizzazione legata alla residenza in un luogo etnico. Nonostante l’esperienza di miglior inclusione vissuta nel meridione, l’arrivo di Rom dalle terre della Jugoslavia negli anni Novanta ed i successivi arrivi dall’est Europa hanno comunque visto attivare politiche abitative etniche legate ai campi nomadi su tutto il territorio nazionale e questo ha segnato in maniera negativa anche le esperienze scolastiche dei minori Rom di nuovo arrivo. In molti casi, la residenza nel campo ha prodotto una stigmatizzazione della presenza dei Rom proprio a scuola ed anche famiglie dei territori slavi che avevano raggiunto l’Italia potendo contare su un sufficiente grado d’istruzione genitoriale, hanno conosciuto una regressione dal punto di vista dei percorsi di studio dei propri figli: i minori hanno spesso avuto una scolarizzazione di grado inferiore rispetto a quella che le generazioni precedenti avevano avuto nella propria patria. Le azioni d’inclusione, costruite negli scorsi decenni all’interno dei singoli istituti scolastici, hanno saputo invertire questa tendenza ad un rapporto oppositivo con la scuola, vista frequentemente come strumento di negazione e distruzione della cultura Rom e Sinta, soprattutto attraverso la ricostruzione di un rapporto fiduciario con le singole famiglie e con le comunità locali. Resta ancora costante, anche in casi di studenti perfettamente inclusi in classe, l’elemento problematico della mimetizzazione dei minori Rom e Sinti a scuola come forma di tutela personale dal pregiudizio: le generazioni più giovani che stanno costruendo percorsi di permanenza più prolungata all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, denunciano costantemente la necessità di non dichiarare il proprio essere Rom/Sinti e di vivere in una condizione di quotidiano disagio psicologico per la frammentazione tra l’identità vissuta in comunità e quella costruita in contesto esterno, in particolare in classe, dove il camuffamento significa spesso anche la necessaria presa di distanza da usi, costumi, lingua, riferimenti alla comunità d’origine. Da questo punto di vista, il richiamo alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (1989) e alla Convenzione europea sull’esercizio del diritto dei minori (1996), sottolinea che il diritto all’istruzione è da intendersi anche come volto a garantire l’armonico sviluppo della personalità del minore, l’autoespressione e la tutela della propria identità. 

È necessario considerare anche il fatto che, frequentemente, la prima scoperta dello stereotipo dello “zingaro nomade” applicato su se stessi come elemento stigmatizzante, avviene in moltissimi casi, proprio durante i primi anni della scuola primaria; il periodo della scuola secondaria di primo grado è solitamente segnalato dai minori  come il momento di sofferenza identitaria più marcata che si evidenzia nelle prime fasi adolescenziali; l’età di scuola secondaria di secondo grado è invece descritta da molti studenti/esse come il periodo in cui si evidenzia la possibilità di recuperare il valore della propria appartenenza comunitaria e di palesarla pubblicamente. Seppur in riferimento a dati non completi, gli abbandoni più frequenti del percorso scolastico da parte di Rom e Sinti avvengono proprio durante il periodo della scuola secondaria di primo grado: la sofferenza evidenziata nella costruzione dell’identità personale è uno degli elementi su cui è possibile fornire sostegno psicologico, ma sul quale anche l’istruzione può intervenire con maggior forza costruendo un’esperienza di scolarizzazione che riduca la conflittualità tra “due mondi” (Rom e non Rom) che non devono essere percepiti in opposizione tra loro, ma in relazione, per costruire un rapporto di reciproca fiducia.

Gli strumenti dell'inclusione scolastica - le famiglie e la scuola

L’obiettivo di proporre un intervento inclusivo nel contesto scolastico deve considerare anche una condizione di estraneità della famiglia al mondo dell’istruzione che è stata conservata a lungo, almeno fino agli anni Novanta, da parte di molte scuole: le azioni programmate erano rivolte ai minori, spesso indicando la famiglia come un deterrente al percorso di scolarizzazione positivo. Questa condizione storica ha sviluppato in molti adulti la percezione di una scuola che “allontana figlie/i dalle famiglie”. I più recenti interventi d’inclusione co-progettati e condivisi con le singole unità familiari e non pensati in modo standardizzato e univoco sulla “categoria Rom/Sinti”, hanno dimostrato che è possibile avviare percorsi d’istruzione soddisfacenti a partire dal sostegno e dalla condivisione familiare, a volte coadiuvata dalla dimensione comunitaria. 

Gli strumenti, perché questo processo possa essere sostenuto, sono quelli di una co-progettazione e di una relazione costante con i riferimenti familiari, non soltanto dal punto di vista della progettazione scolastica per i minori, ma anche da quello abitativo, economico, sociale e culturale: un’azione di rete che possa sostenere il legame con le famiglie in modo duraturo e paritario. In quest’azione è necessario considerare l’apporto culturale e familiare di Rom e Sinti rispetto alla cura dell’infanzia, secondo una prospettiva di sostegno ai bambini/e che sono tendenzialmente curati dalla famiglia e dalla comunità almeno fino al loro ingresso in età scolare. Questi processi, legati anche ai tempi lavorativi, hanno segnato uno scarso ricorso ai servizi pubblici degli asili nido e della scuola dell’infanzia che potrebbero rivelarsi utili per un primo approccio al contesto educativo esterno. Questi elementi sono mutati soltanto in contesti locali dove le comunità hanno percepito un processo relazionale di costruzione di fiducia, slegato da letture di tipo etnico e standardizzate.

Gli strumenti dell'inclusione scolastica - la mediazione linguistica

Le comunità, in particolare quelle con sistemazione nei campi nomadi, vivono spesso una condizione d’immersione in un mondo esterno in cui valori e significati sono definiti dalla società maggioritaria. Questa stessa condizione si verifica a scuola, laddove obiettivi, elementi di riferimento formativo, sbocchi professionali possono non apparire d’immediato significato per chi li osserva da un punto di vista legato alla propria comunità d’appartenenza e alla propria storia di segregazione e/o tenuta a distanza. L’azione della mediazione culturale si è rivelata negli ultimi decenni uno strumento utile alla costruzione di percorsi scolastici positivi, sia per i minori Sinti e Rom, sia per le professionalità della scuola. La mediazione ha una sua utilità dal punto di vista linguistico, considerato il fatto che il Romanes (o Sinto) rappresenta una lingua comunitaria diffusa che si lega anche alla valorizzazione culturale del mondo Rom/Sinto: la presenza di questa lingua tra quelle attivabili all’interno del contesto scolastico ed istituzionale è un primo segno di riconoscimento di presenza e di piena cittadinanza nella società. La competenza linguistica è anche un supporto per l’utilizzo nel contesto scolastico di termini corretti riferiti alle comunità di provenienza che producano inclusione effettiva e avvicinino alla terminologia non stigmatizzante. L’azione di mediazione è un aspetto delicato, ma basilare: può essere attivata a livello di organizzazione del plesso scolastico per “tradurre” in significati comuni e condivisi le azioni educative e didattiche svolte a scuola e per inserire elementi di cultura e di vita di Sinti e Rom anche nei plessi scolastici; può avere un valore importante anche nel contesto classe, con l’attenzione a non diventare stigmatizzante per alunne/i Rom/Sinti che possono permanere nella condizione di mimetismo nel contesto scolastico. La mediazione ha un suo valore a scuola, se presente anche nel contesto familiare e comunitario, proprio in relazione a quell’azione di rete che deve sostenere tutti i processi partecipativi dentro e fuori le comunità. Mediazione è intesa come costruzione di una relazione a partire anche dalle competenze, i valori, le conoscenze che fanno parte delle comunità Rom e Sinte e che rappresentano spesso elementi che hanno partecipato ai contesti culturali, artistici, sociali dell’Europa passata e presente.

Gli strumenti dell'inclusione scolastica - i contenuti didattici come occasione di incontro

Le indicazioni nazionali hanno aperto una fase di più ampia progettazione rispetto ai contenuti didattici che non fanno più riferimento in modo stringente ai programmi scolastici. Dal punto di vista della costruzione di processi d’istruzione inclusivi, l’introduzione dell’educazione civica (90/2019) come disciplina trasversale offre ampie opportunità nella trattazione dei temi legati a cittadinanza e Costituzione. 

Questo approccio rimanda in modo coerente alla Raccomandazione (CM/Rec(2020)2) del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sull’inclusione della storia dei Rom/Sinti in classe. La conoscenza, lo studio e le attività di approfondimento legate alla loro storia in Europa offrono opportunità per la didattica e per costruire occasioni di riconoscimento della presenza di Rom e Sinti nelle vicende passate dell’Europa. In particolare, risulta utile l’inserimento in contesto di apprendimento scolastico della storia del Porrajmos/Samudaripen (la persecuzione, deportazione e sterminio di Rom e Sinti durante il Terzo Reich e la Seconda guerra mondiale). Tali vicende offrono occasione di costruzione di percorsi di riconoscimento e conoscenza di una pagina di storia presente all’interno della memoria delle comunità romanì (spesso assente al di fuori di esse) e sono elementi che possono aprire una programmazione rivolta ai temi Costituzionali e del riconoscimento di piena cittadinanza europea. Una particolare attenzione va posta anche alla ricostruzione e diffusione di conoscenza rispetto al contesto italiano dei fatti che rimandano alla dittatura fascista. Queste vicende trovano rispondenza nella memoria delle comunità Rom e Sinte di antico insediamento nella penisola italiana e offrono occasione di contatto, confronto, mediazione sulla base del riconoscimento storico, anche se manca ancora di pieno riconoscimento istituzionale, all’interno della legge che nel 2000 ha istituito il Giorno della Memoria (211/2000) nel nostro Paese. La data del 2 agosto del 1944, ricordata anche a livello istituzionale in molte occasioni pubbliche e riconosciuta formalmente da molte municipalità italiane, in memoria della notte della liquidazione del “campo degli zingari” di Auschwitz Birkenau, rappresenta un’ulteriore possibilità di costruzione di attività inclusive a livello scolastico e collettivo. 

Non è necessaria e utile soltanto la commemorazione dei contesti in cui Rom e Sinti sono stati vittime di persecuzione, ma anche programmazione didattica legata alle occasioni culturali, artistiche sociali in cui Rom e Sinti hanno contribuito all’impulso della cultura internazionale, europea e italiana, in modo da ricostruire all’interno della scuola e rendere riconoscibile il contributo che queste comunità hanno da sempre offerto vivendo in contesti multiculturali. Il processo culturale da poter costruire può anche individuare momenti storici legati alla storia di Rom e Sinti in Italia, come il loro arrivo documentato a Bologna nel 1422.

In assenza di dati disaggregati certi è quindi essenziale valorizzare un approccio qualitativo che registri le buone pratiche locali, prima ancora che nazionali, volte alla relazione con le comunità Rom e Sinte che hanno legami con le scuole, grazie alla presenza di alunni/e appartenenti alle comunità. 

Le buone esperienze locali, costruite sulla base di partecipazione diretta, didattica inclusiva, progetti educativi non standardizzati sull’etnicità, ma sulla valorizzazione dell’apporto positivo delle comunità e su un approccio di rete che non si limiti all’ambito dell’istruzione e dell’educazione, possono rappresentare esempi da estendere a livello nazionale, in considerazione dell’eterogeneità dei bisogni e delle caratteristiche di queste comunità. 

La permanenza nel percorso di istruzione e formazione

Uno degli elementi che la sociologia dell’educazione sottolinea come decisivo nell’istruzione dei minori, per promuovere un inserimento adeguato a livello sociale da adulti, è la possibilità di permanere a lungo all’interno del percorso d’istruzione, fino alla valorizzazione del Lifelong learning. L’esperienza d’istruzione di Rom e Sinti appare giungere con difficoltà anche solo alla scuola secondaria di secondo grado, seppur dati più recenti a livello locale dimostrino che una progettualità duratura ha sicuramente effetti positivi sulla permanenza nel percorso d’istruzione. Da un lato è utile la valorizzazione della mediazione e la costruzione di fiducia con le famiglie e le comunità Rom e Sinte, dall’altro devono essere considerate le difficoltà economiche in cui versano frequentemente nuclei delle comunità; sono condizioni che riducono la possibilità di permanenza nella scuola anche per effettive necessità di sostegno alla famiglia, soprattutto in età adolescenziale. Da questo punto di vista, le esperienze di sostegno da parte di associazioni, fondazioni ed enti che hanno attivato borse di studio in aggiunta ai bandi già strutturati dagli enti preposti, si sono rivelate esperienze positive, poiché le percentuali del successo scolastico fino almeno alla conclusione della secondaria di secondo grado, hanno raggiunto quasi un totale successo. Molte di queste esperienze sono proseguite fino all’autonomo accesso agli studi universitari e sono state legate alla valorizzazione dell’essere Rom o Sinti. L’attivazione di processi di sostegno allo studio si rivelano quindi essenziali e utili per colmare il gap esistente ed aprire ad una differente progettazione personale del futuro che possa assumere una prospettiva più ampia e più strutturata. L’attività d’inclusione formativa ed educativa rivolta ai minori Rom e Sinti permette inoltre di lavorare a livello culturale e sociale per decostruire l’antiziganismo, un elemento che caratterizza la società maggioritaria non-Rom e che è poco riconosciuto e scarsamente combattuto e di cui la scuola per tutti/e ha la necessità e il dovere di farsi carico.